domenica 8 marzo 2020

La vita ai tempi del Corona Virus



Non sono qui oggi per dire la mia opinione.
 Il web è pieno di "opinioni" non richieste, fake news e umorismo da due soldi, dire la mia non mi renderebbe migliore o peggiore di altri.
Voglio raccontare semplicemente la mia esperienza "Corona Virus" vissuta a Tokyo.
La situazione qui è sotto "finto" controllo. Corsi e ricorsi storici già vissuti sotto allarme nuclerare ai tempi dell'incidente di Fukushima.
Quel senso di precarietà e quel terrorismo mediatico sono tornati.
I primi giorni vivevo attaccata alla tv e ai social,  dove "specialisti" si sono alternati in estenuanti maratone. Si è parlato fino alla nausea senza mai arrivare ad una soluzione con il risultato che la mia ansia è diventata più grande di Godzilla. Quando rigirandomi tra le coperte ho sorpreso quell'enorme rettile a rubarmi  il sonno mi sono detta che dovevo cambiare qualcosa.
Oggi vedo il telegiornale solo una volta al giorno, la mattina mentre faccio colazione. Poi basta. Per seguire le notizie nel resto del mondo, e in Italia, leggo solo il sito dell'Ansa. I social li ignoro. Quella è la fogna delle notizie e da quel lerciume non potrei che uscirne ulteriormente "contaminata".
Sono preoccupata, non perchè qui le scuole hanno chiuso, o perchè si esce con il disinfettante in borsa e la mascherina anche per andare al supermercato, ma per l'ignoranza e la disinformazione che ancora dilaga, qui come nel resto del Mondo.
Sono preoccupata per la mia famiglia in Italia e per mia madre e mia sorella ora prigionere a Milano nella zona Rossa.
Ma non mi preoccupo per loro, so che hanno abbastanza sale in zucca per restare a casa e seguire le norme di sicurezza.  Sono terrorizzata da quella massa di altre persone che se ne sbattono. Che continuano a fare vita normale quando non hanno ancora capito che questo Virus prima di uccidere la nostra salute sta uccidento la nostra normalità.
Tenere i bambini a casa non è normale. Parlo da mamma che si impegna a non far pesare a suo figlio di 6 anni  il dover stare a casa, il non poter andare a scuola, incontrare gli amici, giocare al parco, mangiare il gelato tutti assieme.
Lavorare da casa non è normale.
Girare per strada con una mascherina in faccia non è normale.
Annullare viaggi e vacanze non è normale.
Essere spaventato se per disgrazia fai uno starnuto non è normale.
Odiare tutto d'un colpo i cinesi, non è normale.
Giocare a calcio senza spettatori non è normale.
 Sbarrare chiese e musei, stadi e parchi divertimento non è normale.
Scappare di notte dal Nord Italia per tornare a casa rischiando di "imputtanare" anche il Sud non è normale.

Quindi smettete di fare vita normale perchè la normalità non esiste più.
Il Corona Virus s'è mangiato pure quello, oltre il vostro senso civico.


Betty, from Tokyo










venerdì 14 aprile 2017

Aria di Primavera


La primavera in Giappone è rosa. I fiori di ciliegio tingono i parchi delle città, per poche settimane è un tripudio di petali, ma la primavera in Giappone significa anche un nuovo inizio.
Tutto inizia ad Aprile: l’anno fiscale, i nuovi impiegati, freschi di laurea, il loro nuovo lavoro ed anche ahimè l’anno scolastico.
Il tanto e temuto asilo ha avuto inizio e presto avrà anche una prematura fine.

Sabato scorso cerimonia d’apertura in aula magna con genitori spaesati e bambini altrettanto terrorizzati.
Ultima domenica di libero gioco e da lunedì, il calvario.
Sveglia alle sette, sposta il bagnetto mattutino alla sera altrimenti non si fa in tempo, colazione premuta sull’acceleratore, vestiti preparati dalla sera prima sul divano, borse e borsette pronte.
In missione verso il primo giorno.
Sono riuscita a convincere il piccolo dicendoli che andavamo solo a vedere l’asilo, come in programma da inserimento, un’ora e mezza per il primo giorno, mentre le mamme sono in riunione con il direttore.
Dalle pareti della sala riunioni si sentono pianti strazianti provenire dalle aule. Continuo a fissare l’orologio contanto i minuti, sperando ad ogni strillo che quell’urlo non appartenga a mio figlio.
Il calvario ha termine, in fila davanti l’aula per riprendere il proprio cucciolo, nessuna mamma nasconde un viso stravolto dall’ansia.
Una tra tutte coglie la mia attenzione, siede davanti a me durante tutta la riunione, il capo chino, si asciuga le lacrime con una fazzoletto di carta, tira su col naso.
 Rivedo lei in me, la capisco, la comprendo, vorrei metterle una mano sulle spalle e consolarla dicendole che non è la sola a sentirsi così.
Ma non ne ho il coraggio o il tempo.
Non appena la riunione finisce con uno scatto da far invidia ad un velocista, parte verso la classe dove ha lasciato suo figlio.
Il primo giorno sembra essere andato. Quando chiedo a mio figlio com’è andata mi risponde: “Ho pianto, mamma non c’era”
Peggio di una coltellata al cuore.

Secondo giorno stesso rush mattutino, solo che a completare il quadro ci accoglie una giornata invernale, con tanto di pioggia battente. Alla faccia della primavera.
Convinco il piccolo a uscire di casa, dal suo viso tirato sa dove stiamo andando. Per fortuna il papà ci accompagna in macchina.
Raggiungiamo l’asilo.  Sembra andare tutto bene fino a quando mio figlio scopre che dovrà lasciarmi all’ingresso, che non lo accompagnerò fin su, che sarà una delle maestre a portarlo in classe.
Crisi isterica di pianto, io che sono sull’orlo del collasso quando lo vedo andare via, tutto mogio mogio salire le scale voltandosi un’ultima volta per salutarmi.
Ho avvertito in quel momento un crampo tra pancia e cuore simile a quelli provati durante il parto. Come se me l’avessero strappato di dosso senza permesso, senza alcun preavviso.
Una violenza però premeditata, di cui io non ero semplice spettatrice, ma spietata complice.
Non torno a casa, trovo rifugio dalla pioggia e dal freddo nel vicino centro commerciale,  ancora due ore prima della fine di quella tortura.
Due ore in cui non riesco a darmi pace.
Ma tutto ha una fine e anche quelle due interminabili ore giungono al termine.
Torno a prenderlo, mi corre incontro, sulle guance le lacrime si sono asciugate lasciando strisce bianche.
Lo abbraccio forte, me lo stringo al petto.
La sera mi addormento pregando la Madonna di darmi un segno, di farmi capire se quello che sto facendo sia giusto, se devo continuare in questa folle impresa.
Il mattino dopo la sveglia suona come sempre alle sette, sveglio il piccolo, mi sembra troppo caldo per essere calore di letto, prendo il termometro, 38.
Il segno che avevo chiesto era arrivato.



Lunedì andrò di nuovo all’asilo, questa volta a chiedere di ritirare mio figlio da scuola.

LAPIDATEMI PURE.

Non mi vergogno della mia scelta.

I figli non ci appartengono. Noi possiamo semplicemente seguirli mentre fanno i primi passi verso un nuovo mondo.
Tutto verissimo, super giustissimo.
Ma aggiungo, c’è un’età per tutto.
E tre anni è troppo presto per camminare da solo. A tre anni se mio figlio ha ancora bisogno di me, io ci sarò.
Non conduciamo una vita da reclusi.
Usciamo tutti i giorni, parco, passeggiate, cinema, ludoteca. Con me frequenta il corso di musica e d’inglese, da due mesi quest’ultimo ha iniziato a frequentarlo da solo. Adora andarci e si diverte molto con i suoi amichetti, in un ambiente dove sei bambini sono seguiti da due maestre.
All’asilo la ratio tra maestri e bambini è di 1 a 15. In una classe di 30 bambini tutti di tre anni.
Mi dite voi come fa un bambino a sentirsi protetto in queste condizoni? Quando a volte per stare dietro a mio figlio non bastiamo io e mio marito insieme?

Io da piccola non ho frequentato l’asilo, mentre i miei genitori lavoravano, restavo a casa di nonna e non per questo sono venuta su con un’attacco morboso alla mamma.
A 5 anni ho chiesto io espressamente a mia madre di andare a scuola, a 15 anni sono andata per due mesi in Inghilterra, a 18 ho lsciato casa per andare all’università, a 22 ho lasciato l’Italia per andare a studiare in Giappone e da 9 anni vivo a Tokyo.
Pur non essendo andata all’asilo vivo a 9000 km di distanza da casa.

Quindi perdonatemi se ho deciso di aspettare a separarmi da mio figlio, nel peggiore dei casi potrebbe in un futuro andare a vivere a 9000 km lontano da me e continuare comunque a sentirsi amato da quella mamma che quella volta ha preferito stingerlo a sè.

Betty 
From Tokyo

mercoledì 15 febbraio 2017

Un San Valentino dell'altro Mondo



Nostalgia per i San Valentino made in Italy. 
Quando durante le scuole medie i ragazzi della classe, troppo timidi per scatoline a forma di cuore, regalavano a noi femmine, i cioccolatini in scatole utilizzate di dentifricio e crema per le emorroidi.
O durante il liceo, quando arrivavano fiori spediti dagli innamorati alle mie compagne di classe ( ahimè mai arrivati per me).
L'immancabile regalo da papà per me, mia mamma e mia sorella. Le sue Donne. 
Poi il primo San Valentino da coppia, a 16 anni, una rosa rossa. Da qualche parte a casa ho ancora conservato qualche petalo di quella rosa. 
Non serve spiegare che in Italia è l'uomo quasi sempre a fare il regalo. Piccolo o grande che sia, la donna si aspetta sempre qualcosa. 

In Giappone è tutto capovolto. 
Qualcuno di voi forse può averne un'idea se da ragazzino ha letto qualche manga. 
Classica la scena della studentessa di liceo, che prende coraggio e si dichiara al ragazzo che le piace, scatola alla mano,  giusto il giorno di San Valentino.
Il 14 Febbraio è tempo di dichiarazioni in Giappone. Sono le donne a farsi avanti. Si preferisce regalare per l'occasione cioccolatini fatti a mano.
(non serve essere maestri cioccolatai, tutto sta nel comprare del cioccolato in barrette, fonderlo in un pentolino, poi inserirlo in formine a forma di cuoricino, far raffreddare e voilà! Cioccolato hand made pronto)
Nei casalinghi vendono tutto il kit per la preparazione.
 Ma se qualcuno è troppo pigro per mettersi ai fornelli allora basta comprare una delle scatoline in vendita nei negozi. 
Se ne trovano di tutti i tipi. Nei centri commerciali attrezzano un piano dedicato al cioccolato. Gli acquirenti sono tutte donne naturalmente, le vedi svolazzare da una vetrina all'altra in cerca del cioccolatino perfetto.
L'ho fatto pure io. Il primo anno di fidanzamento con il mio attuale marito ho organizzato una spedizione punitiva con le amiche al centro commerciale alla caccia del cioccolato giusto. 
Esperienza estenuante che non ho più rifatto. 

Esistono diversi tipi di cioccolato. 
Quello D'amore, quando una coppia è già assieme.
Quello da Dichiarazione, quando si ripongono tutte le proprie speranze in quella scatolina.
e poi quello del Dovere.  
L'ultimo è una tradizione tutta Nipponica.
Si chiama Giri Choko. (Cioccolato d'obbligo)
Le donne che lavorano in un ufficio, si organizzano per regalare del cioccolato a tutti i colleghi uomini. Un segno di gratitudine per il lavoro svolto ogni giorno fianco a fianco.
Un gesto di gentilezza per gli uomini.
 Una grande rottura di scatole per tutte le donne che devono comprare e distrubuire i regalini.

San Valentino in Giappone insomma un'ode agli uomini?
Così potrebbe sembrare, se non che gli uomini hanno il dovere di ricambiare il regalo del 14 Febbraio, esattamente un mese dopo.
Il giorno del White Day, 14 Marzo. Di nuovo nei negozi valanghe di cioccolatini in bella mostra sugli scaffali, gli acquirenti questa volta? Gli Uomini (^^)

Morale della favola?
Un gran giro di soldi e poco romanticismo.

Ma del resto è così un po' in tutto il Mondo.
Festeggiate come vi pare e piace, ma non dimenticate di far sentire speciali le persone che vi amano, non serve del cioccolato, solo la vostra presenza e quella è gratis.

Betty 
from Tokyo





domenica 27 novembre 2016

Uomini Vs Donne


Qualche settimana fa in un talk show in tv hanno detto che il Giappone è agli ultimi posti nella classifica della disparità tra uomo e donna.
Di certo non pensavo fosse primo in classifica ma nemmeno così in basso.( Italia 50esimo posto, Giappone al 111esimo).
Non voglio tediarvi con un’analisi di dati e tabelle nè con un’arringa femminista. Lasciate che vi racconti la mia esperienza.



Alla domanda “Com’è essere sposati con un giapponese?”
“A parte gli occhi a mandorla? E’ come essere sposati con un italiano meridionale” la mia risposta.
A me la completa cura della casa, dal bucato, alle pulizie, dalla spesa, alla cucina... a lui la parte economico/finanziaria/burocratica della nostra vita matrimoniale.
Fin dai primi tempi di convivenza agli ultimi anni post matrimonio è stato questo il nostro schema.
Lui viene da una famiglia in cui la mamma ha smesso di lavorare per stare dietro a 3 figli, mentre il padre al lavoro, portava i soldi a casa.
Io? Papà medico, sempre al lavoro, mamma insegnante, nonostante il lavoro si è sempre presa cura di noi figlie, del marito e della casa.
Ma forse quelli erano altri tempi.
Ancora oggi, qui a Tokyo, io faccio esattamente quello che hanno fatto mia madre e mia suocera. Forse i tempi non sono poi così cambiati.
A me sta bene così. Non sono mai stata una femminista. Dopo aver avuto un figlio ho smesso di lavorare, per dedicarmi alla famiglia.
(in cuor mio spero di riprendere presto una volta mandato il pargolo all’asilo) mi sono potuta concedere qualche anno di stop da dedicare a mio figlio. E questo lo devo a mio marito.
Svegliarsi la mattina e non doversi preoccupare dei soldi che entrano in casa, è un enorme sollievo.
E poi parliamoci chiaro, ci sono alcune cose, soprattuto dopo la nascita di un figlio che solo una donna può fare.
Per quanto abbia cercato di allenare mio marito nella cura del piccolo, in caso di emergenza, ( mia malattia con ricovero in ospedale o morte) sono io a prendermi cura del piccoletto. Mio marito è il compagno di giochi del figlio. Adorano rincorrersi per casa, giocare a nascondino, saltare sul letto ( nonostante io l’abbia appena rifatto), schizzarsi nel bagno, fare la lotta sul divano. E ci sta. Quelli sono giochi che solo un papà è in grado di fare.
La mamma serve a tranquillizzare il cucciolo quando piange, a metterlo a nanna, a preparagli la colazione la mattina. Abbiamo trovato il nostro ritmo e non per questo mi sento inferiore a mio marito o discriminata. E’ un periodo, quando mio figlio inizierà la scuola inizierà per noi una nuova fase, perchè non godermi questo tempo finchè posso senza dover per forza rincorrere sogni di gloria e carriera professionale?

Guardando la notizia in tv sono rimasta piuttosto sopresa.
Ho sempre pensato che le donne giapponesi fossero delle tipe toste.
Sono loro a comandare in famiglia.
Ancora non riesco a farmene una ragione, ma per tradizione quando una coppia si sposa è la donna a tenere in mano e gestire il portafoglio famigliare.
Se il marito vuole fare qualche acquisto extra deve chiedere i soldi alla consorte che di solito gli da un paghetta mensile, la cui cifra varia a seconda delle famiglie, che il marito può spendere per andare a bere con i colleghi o per i suoi hobby.
Sta cosa non sta nè in cielo nè in terra secondo me.
Poveri mariti, non soltanto si ammazzano di lavoro, ma non sono nemmeno padroni di gestire il loro stipendio.
Naturalmente nella mia famiglia questo non succede. Ma i miei cognati nipponici adottano tutti quel sistema.

Vi racconto un aneddoto.
Eravamo in un negozio di orologi, mio marito dopo aver finito un progetto di lavoro ha voluto premiarsi con un orologio nuovo, mi ha chiesto di accompagnarlo a sceglierlo. ( facciamo quasi sempre spese assieme) mentre eravamo seduti a pagare il nostro acquisto, al tavolo vicino, un uomo sulla trentina vestito in giacca e cravatta, stava ritirando l’orologio che aveva appena comprato.

Il commesso gli chiede il metodo di pagamento. Il cliente lo fissa, “carta di credito con pagamento a rate”, poi aggiunge “la prego di non inviarmi la ricevuta a casa, la mandi in ufficio.” Il commesso con uno sguardo complice “ non si preoccupi, ricordo bene. Meglio che sua moglie non venga a sapere di questo” dice indicando l’orologio appena acquistato. Il Cliente con una risata imbarazzata... “ è lei che tiene a casa il portafoglio”

Quel povero disgraziato aveva comprato un orologio (che non costava proprio due spicci) di nascosto dalla moglie.
Mi ha fatto tanta pena, e poi mi sono messa nei panni della moglie. Se mai l’avesse scoperto... come avrebbe reagito?

Sono nove anni che vivo a Tokyo, e non ho mai avvertito alcuna discriminazione sessuale. Anzi, a volte i giapponesi sono fin troppo timorosi di farsi valere di fronte ad una donna.
E poi la tv dice che il sesso forte qui in Giappone è quello maschile.

I mitici samurai sono diventati delle timide gheishe, e loro, le donne, dei ninja spietati.


Betty from Tokyo

mercoledì 2 novembre 2016

Ultimissime

Non so come, ma siamo stati presi all’asilo!!
Finalmente l’angosciosa ricerca è terminata e ci godiamo gli ultimi mesi di tranquillità prima dell’inizio ufficiale.
Ieri il colloquio. Da settimane prima ero in crisi su cosa indossare e far indossare al pupo.
Non possiedo un tailleur, mai avuto in vita mia, non l’ho messo nemmeno il giorno della mia laurea. Quel giorno indossavo un vestito rosso e bianco, in tinta con la copertina della mia tesi, chiaro richiamo alla bandiera del Giappone. Quindi le scelte possibili per me erano:
1)    tubino nero e bianco senza maniche
2)    gonna gialla e maglioncino nero della Sisley,
essendoci stati ieri 12 gradi il tubino nero ha fatto dietrofront.
Ero la mamma più colorata della giornata, tutte le mamme Japan in vestito nero o  tailleur scuro, tacchi, capelli tirati indietro. Molto più semplice per i papà in giacca e cravatta.
Per il piccolo invece?
Diciamo che da quando è nato ho sempre scelto per lui colori vivaci, Nina vi dirà che realtà lo vesto come un semaforo, un fondo di verità c’è. Ma credo che i bambini debbano vestire con tinte allegre, forti e vivaci, e qui arriviamo al problema numero due. Non avevo nulla di sobrio nell’armadio per il pupo.
Quindi settimana scorsa corsa alla Gap a prendere una camicia bianca, per fortuna avevo un pantalone blu scuro della Chicco, l’unico scuro, maglioncino e gilet regalato da un’amica tempo fa. E voilà mio figlio era pronto!
I preparativi non riguardavano solo l’abbigliamento purtroppo, abbiamo dovuto fare delle foto tessera del bambino da mettere sul modulo d’iscrizione e poi scrivere il motivo per cui avevamo scelto quella scuola. E lì che secondo me abbiamo fatto Bingo.
La cosa era organizzata in questo modo.
Genitori e bambini divisi in gruppi per orario. Noi eravamo nel gruppo delle 14.10. Reception, pagamento di 3000yen (circa 26euro) per sostenere il colloquio, prova gioco del bambino in gruppo, colloquio, ritorno a casa. Risultati consegnati il giorno stesso dalle 18.30 alle 19.00. Ad occhio e croce saranno stati circa 200 bambini aspiranti studenti della scuola su 70 posti disponibili.

Considerando la prova gioco con gli altri bambini miseramente fallita avevamo poche possibilità di farcela.
Per la prova in gruppo, soltanto un genitore  era ammesso con il bambino nella classe dei giochi, l’altro aspettava fuori.
Mio figlio ha deciso di andare con il padre, salvo poi dopo dieci minuti iniziare a urlare “Mamma vuoi, mamma vuoi!!!”.
Naturalmente non mi è stato possibile cambiare posto con mio marito, la responsabile alla mia domanda, mi ha risposto con un gelido sorriso invitandomi ad avere un altro po’ di pazienza ed a rimettermi seduta ad aspettare.
Finita la tortura del gioco finalmente siamo arrivati al clou. Il tanto temuto colloquio.
Ci fanno entrare in una stanzetta. Apriamo la porta e la direttrice ci fa accomodare su tre sedie pieghevoli poste ad un distanza terrificante dalla scrivania dove sedeva lei.
Ci tiene sotto torchio per una ventina di minuti.
Quale adulto vorremmo che nostro figlio diventasse, cose pensiamo della società giapponese e del sistema educativo..... e poi la fatidica domanda, perchè avete scelto questa scuola.
E’ toccato a me rispondere.
Allora, l’asilo che abbiamo scelto ha un’impostazione cristiana, fondato in Inghilterra, pur essendo un asilo dove tutto si svolge in giapponese, tra le regole di base c’è  “ama il tuo prossimo come te stesso”.
Ora io sono cattolica, probabilmente la scuola ha un’origine anglicana/protestante, non sono stata lì a sottolineare la differenza, probabilmente nessuno in quella scuola lo sa e quindi ho decantato l’importanza che ha per me che mio figlio cresca in un ambiente cristiano. I bambini che frequentano quella scuola pregano prima di pranzare, festeggiano il Natale con tanto di recita con pastorelli e stella cometa, organizzano eventi nel quartiere a cui partecipano anche i genitori e volontariato nelle case di cura per gli anziani. E tutto questo per me ha importanza, poi ho spiegato che pur essendo mio marito giapponese, ci ho tenuto a sposarmi in chiesa in Italia e a far battezzare mio figlio quando è nato. Le possibilità di vivere una vita a contatto con una realtà cristiana in Giappone sono scarsissime, è un dato di fatto, da qui la scelta della scuola.
Ci siamo giocati il tutto per tutto con questa rispota a bomba!


Finito il colloquio, siamo tornati, stanchi e io abbastanza sconfortata, a casa. Non pensavo davvero ce l’avremmo fatta. Ed invece.... ieri sera alle 19.00 mio marito è andato alla scuola a ritirare i risultati. Siamo passati!!! (^^)

Le preoccupazioni però non finiscono qui. Siamo solo all’inizio....
Nell’opuscolo distribuito il giorno dell’orientamento c’è scritto a chiare lettere che vogliono che la mamma cucia a mano la borsa per la scuola per il proprio pargolo. Un regalo pieno d’amore. (cito testuali parole) Tacci loro! (passatemi il francesismo)
Io non so mettere nemmeno un bottone ad un camicia figurarsi cucire dal nulla una borsa.
(Piccola nota, qui in Giappone a scuola le bambine fanno ancora l’ora di educazione domestica, come quella che facevano le nostre mamme e le nostre nonne, quindi tutte le mamme giapponesi della mia età sono capaci non solo di mettere un bottone ma anche di cucire quella maledetta borsa per l’asilo)
Sono subito corsa ai ripari.

No, non ho comprato una macchina da cucire.
Non mi sono nemmeno iscritta ad un corso di cucito.

Ho comprato kit e libro in un negozio di fai da te e quando torno a Natale faccio fare tutto il corredino per l’asilo al mio caro zio sarto. Alla faccia di ago e filo (^o^)
W l’arte del sapersi arrangiare di cui noi ITALIANI siamo campioni internazionali!

E con questo passo e chiudo.
Buona notte da Tokyo.

Betty


mercoledì 26 ottobre 2016

Vita da mamma, quando star male diventa un lusso.

Sono tre giorni che sono chiusa in casa, io e mio figlio. Influenza, tosse, raffreddore, febbre, mal di gola, pacchetto completo.
Naturalmente ha iniziato il piccolo domenica sera, nel lettone con me tutta la notte, core a core, fiato a fiato, virus a virus. Il lunedì sera ho iniziato a star male anche io.
Il papà, cuor di leone, si è defilato nell’altra stanza, dorme in pace tranquillo da tre giorni.
Dal pediatra il giorno dopo, io non perdo tempo, da sempre interventista, non aspetto che la situazione peggiori. Diagnosi? Raffreddore. Non ci voleva mica la palla di vetro.
L’unica cosa buona qui in Giappone è che i pediatri danno subito le medicine. Niente roba omeopatica o subnaturale. Sciroppo per la tosse e antinfiammatorio per la gola e alla bisogna, antipiretico. E per questo ringrazio Dio di vivere qui. Se fossimo in Italia probabilmente ci porteremmo sto benedetto raffreddore fino alla prossima estate. Parlo per esperienza, di quelle volte che trovandomi in Italia con il pupo malato, ho dovuto aspettare di tornare in Giappone per farlo guarire. I pediatri italiani non danno antibiotici, nè sciroppi, nulla di nulla. Solo tachipirina, la nuova panacea per tutto.
Ma allora tutti quegli sciroppi schifosi che prendevamo noi da piccoli???? Ma che fine hanno fatto?? Il Bactrim, che puzzava di banana marcia, lo Zimox sciroppo, io sono stata cresciuta a Zimox, avendo le adenoidi soffrivo spesso e volenteri di tonsillite.
Dopo tre giorni sembra che ne stiamo uscendo, ma per me restare in casa per tutto questo tempo è pesante.... davvero pesante.
Considerando che essendo anche io influenzata, devo comunque smazzare. Resterei volentieri tutto il giorno a letto, davanti un buon film o un ottimo libro bevendo camomilla e latte caldo, ed invece, mio figlio che mi sveglia alle 7 di mattina, dopo l’ennesima notte da Innominato, colazione, doccia, pulizie, giochi con il pargolo, corse al bagno per evitare inondazioni, (il cucciolo sta togliendo il pannolino, siamo in pieno toilet training) e quelle volte che mi dimentico di costringerlo a sedersi sul vasino, vai con inondazioni di pipì sul divano o sul più bastardo di tutti.... il tatami giapponese, quelle maledette stuoie di paglia hanno una capacità assorbente da far invidia al migliore Scottex. Quindi arrivo alla sera più stanca del solito, le ossa a pezzi, la gola ancora in fiamme, perchè star male quando si diventa mamme diventa un lusso.
E questo è uguale ovunque, Tokyo, Milano, New York, Pechino.... in ogni città del mondo una mamma non può ammalarsi.
Preghiamo Dio che ci dia sempre una salute di ferro, per stare dietro ai nostri cuccioletti. Che nonostante la febbre e il raffreddore vogliono giocare con mamma e correre nudi mentre cerchi di mettergli il pigiamino.

Perchè il lavoro di mamma non prevede ferie per malattia, solo straordinari, ripagati da una carezza che il tuo cucciolo ti fa mentre sei seduta con lui a giocare con le macchinine, e quella carezza è meglio di qualsiasi stipendio. 

Betty, Tokyo

mercoledì 19 ottobre 2016

Asilo, la scelta



Il nostro pellegrinaggio ha inizio ad agosto. 
Open campus, visite guidate alle strutture, spiegazioni interminabili su corsi, gestione e andamento della scuola. Dopo aver girato cinque scuole diverse, abbiamo finalmente scelto un posto dove inviare l’iscrizione. Oggi ho ritirato i moduli.
Qui l’anno scolastico inizia in primavera, ad Aprile per la precisione, ma entro fine ottobre si chiudono tutte le iscrizioni.
Consegnare il modulo d’iscrizione non ti assicura l’entrata.
Non funziona nemmeno alla “prima arrivo, meglio alloggio”.
La cosa per un asilo qui a Tokyo diventa molto più complicata.
Innanzi tutto c’è una distinzione da fare tra asili pubblici e privati.
Quelli pubblici, gestiti dai comuni in cui si divive Tokyo, sono gratis, o quasi. Nessun servizio mensa, nessuna navetta, tutto secondo tradizione.  Il cestino del pranzo lo prepara la mamma, i bambini si accompagnano a piedi o con i mezzi. Putroppo il comune dove vivo io ha deciso di far partire gli asili dai quattro anni, quindi per il momento quelli pubblici sono da scartare.
Quelli privati hanno tutti gli optional, divisa scolastica, scuola bus, servizio mensa (alcuni forniscono pranzi e merende rigorosamente bio, tutto super controllato e naturale), attività e gite fuori porta.
Tutto però a prezzi stratosferici. (evito i dettagli, la matematica non è il mio forte, ma in ogni caso pensate al prezzo mensile per un asilo come ad un affitto di una seconda casa e forse riuscite a farvi un’idea).
Siamo partiti dall’idea di mandare il nostro pargolo alla scuola internazionale e poi strada facendo, approdati alla scelta di un asilo giapponese privato, uno dei due vicino casa.
Ahimè, stando a quello che mi dicono le altre mamme del corso d’inglese, molto popolare, quasi inaccessibile. (T T)
Priorità ai bambini che hanno già un fratello o una sorella dentro. Numero di posti disponibili 90.
Dopo aver consegnato i moduli ci aspetta un colloquio genitori/ pargolo/insegnante e poi la tanto temuta osservazione del bambino in gruppo. E qui.... noi perdiamo già in partenza.
Mio figlio è nella fase.... “Insieme a mamma” ( in giapponese suona, Mamma isshoni) bagno: insieme a mamma, parco: insieme a mamma, giochi: insieme a mamma, nanna: insieme a mamma. Io di solito gli rispondo “ Sì amore, fino alla morte insieme a mamma!”
Asilo? Insieme a mamma.... non penso proprio.
Nel modulo d’iscrizione c’è uno spazio da compilare sulle ragioni del perchè abbiamo scelto quella scuola.
La verità? Vicino casa, unico asilo privato giapponese in zona, insomma... questo passa il convento.
Cosa scriveremo?
Ci stiamo ancora pensando....

 Il giorno del verdetto sarà il primo di Novembre, il giorno dei morti... Ho detto tutto.
Comunque abbiamo un piano B. Serve sempre un piano B.
Se non dovesse andar bene, altro asilo privato internazionale, perchè una lingua in più non fa mai male (^^)

Betty, Tokyo

Naturalemte posterò ancora per informarvi sull’esito.... Incrociamo le dita!